Effetto framing nella comunicazione del covid-19

di Massimo Cesareo || In questo periodo si parla quotidianamente del covid-19, della sua diffusione e dei suoi effetti sulla nostra società. Tra informazione e disinformazione questa situazione fa emergere chiaramente alcuni effetti psicologici che possono essere riletti attraverso la lente della Behavioral Economics. 

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Tra questi senz’altro uno dei più importanti prende il nome di Effetto Framing, di cui si è parlato recentemente anche sull’Economist al quale si rimanda per ulteriori approfondimenti.

Nella letteratura relativa alla Behavioral Economics un passo fondamentale nello studio di tale effetto avviene nei primi anni ’80 grazie ad un programma di ricerca sviluppato dai due pionieri della disciplina, ovvero gli psicologi israeliani Daniel Kahneman e Amos Tversky. Tale filone di studi mise in luce una cosa molto semplice: la modalità in cui una stessa informazione viene declinata può influenzare le nostre scelte.

Il problema della malattia asiatica

Per chiarire meglio tale concetto può essere utilizzato un esempio che si adatta molto bene all’attuale situazione. Si tratta di un famoso esperimento condotto dagli stessi autori durante la loro lunga collaborazione e noto come “Asian Disease Problem” (ovvero “Problema della malattia asiatica”). 

A due gruppi di persone fu assegnata, in modo casuale, una delle due versioni del seguente problema: 

Versione 1

“Immaginate che gli Stati Uniti si stiano preparando all’insorgere di un’insolita malattia asiatica, che dovrebbe uccidere 600 persone. Sono stati proposti due programmi alternativi per combattere la malattia. Ipotizziamo che le stime scientifiche esatte delle conseguenze dei programmi siano le seguenti:” 

1) Se viene adottato il programma A, 200 persone si salveranno;
2) Se viene adottato il programma B c’è 1⁄3 di probabilità che 600 persone si salvino e 2⁄3 di probabilità che nessuna persona si salvi. 

Quale dei due programmi preferirebbe? 

In questa prima versione del problema, la maggior parte degli intervistati (72%) preferì il programma A, ovvero quello in cui non vi era alcun rischio da dover prendere in considerazione, rispetto al programma B (28%).

Versione 2

“Immaginate che gli Stati Uniti si stiano preparando all’insorgere di un’insolita malattia asiatica, che dovrebbe uccidere 600 persone. Sono stati proposti due programmi alternativi per combattere la malattia. Ipotizziamo che le stime scientifiche esatte delle conseguenze dei programmi siano le seguenti:”


1) Se il programma A viene adottato, 400 persone moriranno;
2) Se il programma B viene adottato, c’è 1⁄3 di probabilità che nessuno muoia e e 2⁄3 di probabilità che muoiano tutti.

Quale dei due programmi preferirebbe? 

In questa seconda versione, al contrario di quanto accaduto nella prima, la maggior parte delle persone preferì il programma B (78%), ovvero l’opzione in cui si correva un potenziale rischio, rispetto al programma A (22%). 

In altre parole, le persone coinvolte preferivano l’opzione A all’opzione B e l’opzione B all’opzione A. Questo risultato viola quello che nell’economia neoclassica è noto come principio d’invarianza. Non essendoci tuttavia una differenza sostanziale tra le due versioni del problema, se non nella modalità in cui sono formulate, le persone, se fossero razionali, dovrebbero rispondere in modo del tutto analogo nelle due situazioni sperimentali (Tversky & Kahneman, 1981; Kahneman, 2003).

Effetto Framing ai tempi del covid-19

Date le premesse e a partire dall’esempio appena fornito possiamo chiederci in che modo tale effetto possa manifestarsi in questo periodo storico.

Pensiamo, ad esempio, a come possano essere comunicati i dati relativi ai decessi derivanti dal contagio da covid-19: secondo le statistiche reperibili su Lab24 , attualmente in Italia sono circa 29.000 le persone decedute a causa del virus su un totale di circa 213.000 contagi. 

In che modo tale informazione può essere declinata?

Una prima opzione è quella di mettere in evidenza il tasso di letalità del covid-19 all’interno della popolazione italiana. In questo senso, traducendo i dati sopracitati in percentuali potremmo affermare che “in Italia il tasso di letalità tra le persone colpite da covid-19 è del 13% circa”.

Una seconda opzione è quella di mettere in evidenza il tasso di sopravvivenza al virus.

In questo secondo caso potremmo dire che “in Italia il tasso di sopravvivenza tra le persone colpite da covid-19 è dell’87% circa”.

Queste due modalità di comunicare dei numeri sono equivalenti? Da un punto di vista prettamente logico senz’altro. Da un punto di vista più umano, le cose cambiano. 

Sicuramente il modo in cui questa informazione viene declinata avrà un impatto diverso sul modo in cui valuteremo gli effetti della pandemia. Porre l’accento sulla letalità del virus piuttosto che sulla probabilità di sopravvivenza produrrà infatti reazioni diverse che potranno tradursi in scelte differenti. 

Come comunicare il covid-19?

L’esempio sopra menzionato può aiutarci a fare alcune riflessioni su come comunicare ai tempi del covid-19 e, più in generale, su come funzioniamo.

1) La nostra razionalità è limitata: uno dei concetti su cui poggia la Behavioral Economics è quello di “bounded rationality” (ovvero razionalità limitata). Non sempre le persone agiscono nel modo in cui dovrebbero agire se fossero completamente razionali. Questo si traduce in errori nel processo decisionale, i cosiddetti bias. Ad esempio, sebbene la maggior parte di noi conosca l’importanza di lavare le mani dopo aver utilizzato i servizi igienici, non sempre questa consapevolezza si traduce in azione, soprattutto quando siamo di fretta. Dobbiamo tenere conto di questi fattori quando vogliamo comunicare qualcosa d’importante.

2) Siamo prevedibilmente irrazionali: molti errori decisionali sono sistematici. Come ben descritto dal noto economista comportamentale Dan Ariely, siamo prevedibilmente irrazionali. Ciò significa che possiamo studiare in che condizioni le persone sono vittime di tali bias e in molti casi prevenirli. Per sviluppare strategie comunicative efficaci dobbiamo dunque prima capire in quali condizioni aumenta la probabilità che le persone commettano errori.

3) Andare oltre il contenuto: infine, dobbiamo essere consapevoli degli effetti che vogliamo produrre quando comunichiamo. Non è sufficiente focalizzarsi sul contenuto che vogliamo veicolare. È anche indispensabile chiedersi qual è l’obiettivo comunicativo che vogliamo perseguire e qual è la modalità migliore per raggiungerlo: voglio, ad esempio, rendere le persone più consapevoli dei rischi derivanti dal contagio? oppure le voglio tranquillizzare rispetto alla gravità della situazione?

Per concludere, è molto importante sottolineare come non esista un modo del tutto neutrale di fornire informazioni. L’unica vera scelta è quella di decidere in modo consapevole cosa comunicare sulla base degli effetti vogliamo produrre sul nostro interlocutore. In ogni caso quest’ultimo sarà influenzato dai messaggi che riceve.

Fonti

Bibliografia

Tversky, A., & Kahneman, D. (1981). The framing of decisions and the psychology of choice. Science, 211(4481), 453-458.

Kahneman, D. (2003). A perspective on judgment and choice: Mapping bounded rationality. American Psychologist, 58(9), 697-720.

Sitografia

https://www.economist.com/books-and-arts/2020/04/03/how-to-frame-public-health-messages-so-people-hear-them

https://lab24.ilsole24ore.com/coronavirus/

https://www.repubblica.it/salute/medicina-e-ricerca/2019/11/17/news/una_persona_su_quattro_non_si_lava_le_mani_dopo_aver_usato_il_bagno_dell_ufficio-241268265/

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