Altruismo inefficace: le barriere che ostacolano la donazione

di Federica De Bendedittis

Perché nonostante l’informazione sulle disuguaglianze e la povertà ci tocchi e ci emozioni , spesso non riusciamo compiere il semplice gesto di una donazione?

Autorevoli studi e ricerche hanno indagato ciò che frena i donatori a livello razionale focalizzandosi, ad esempio, sulla non conoscenza diretta dell’uso dei fondi e la scarsa conoscenza dell’organizzazione.

Ma cosa succede ad un livello più emotivo e automatico?

Il Team del The Decision Lab in questo articolo1 ha provato a rispondere a questa domanda.

Prendiamo, ad esempio, il tracoma, una malattia infettiva dell’occhio di cui soffrono oltre 20 milioni di persone, molte delle quali vivono in condizioni di estrema povertà. Se non trattato, il tracoma può avere conseguenze terribili e può portare fino alla cecità. Il costo del trattamento del tracoma con la chirurgia è stimato essere di circa soli 7 dollari, ma molti ancora non hanno accesso a questo intervento. Come mai nonostante la palese utilità dell’intervento e il bassissimo costo non è facile ricevere donazioni per questa causa?

Uno dei motivi è determinato dal fatto che i pregiudizi cognitivi guidano molte delle nostre decisioni di donare. Questi pregiudizi, sono fenomeni che si verificano quando un individuo che ha una data preferenza per una causa – come curare la cecità – non effettua nessuna donazione verso un ente affidabile che potrebbe risolvere il problema. Chiameremo per comodità questa cattiva allocazione delle risorse con l’espressione di “altruismo inefficace”.

In particolare, in questo caso, per spiegare l’altruismo inefficace possiamo fare riferimento ad alcuni bias cognitivi, tra cui il bias della distanza e l’effetto vittima identificabile. Cercare di identificare e capire meglio questi bias porta a costruire un’Architettura delle Scelte migliore.

Vediamoli insieme.    

Bias della distanza

Il bias della distanza descrive la tendenza degli individui a dare maggiore importanza alle cose che sono più vicine a loro, sia fisicamente che temporalmente, anche quando altre cose potrebbero essere ugualmente valide o più importanti.  È per questo che un terremoto in California suscita una risposta più emotiva da parte dei canadesi rispetto a quanto farebbe un terremoto altrettanto disastroso avvenuto in Cile. Nella letteratura storica, Peter Singer alludeva al pregiudizio della distanza nel suo famoso saggio intitolato Carestia, ricchezza e moralità.  Singer sostenne con commozione che “non fa alcuna differenza morale se la persona che posso aiutare è il figlio di un vicino a dieci metri da me o un bengalese di cui non saprò mai il nome, a diecimila miglia di distanza”. Se dal punto di vista morale non vi è alcuna differenza, le Scienze del Comportamento ci dicono che, in realtà, dal punto di vista della probabilità di emissione del comportamento la distanza conta.

Se, tuttavia, i destinatari delle donazioni vengono scelti in base alla vicinanza anziché alla necessità, le risorse potrebbero non raggiungere coloro che ne hanno più bisogno. Se i donatori nei paesi ricchi tendono a donare fondi solo a coloro che vivono nelle loro comunità o città locali, allora i destinatari dei paesi in via di sviluppo che ne trarrebbero il massimo beneficio rischiano di non ricevere l’aiuto di cui hanno bisogno.

Secondo i dati del sondaggio riportato nell’articolo, ci sono prove empiriche che i donatori generalmente preferiscono aiutare persone vicine a loro: solo il 31% dei donatori in tutto il mondo infatti sceglie di donare a organizzazioni di beneficenza situate al di fuori del rispettivo paese di residenza. Inoltre, prove sperimentali dimostrano che, con l’aumentare della distanza psicologica tra potenziali donatori e riceventi, i donatori sono meno disposti a fornire aiuto.

Bias effetto vittima identificabile

Il secondo bias cognitivo che descrive le decisioni dei donatori è l’effetto vittima identificabile. Questo pregiudizio rappresenta l’inclinazione di un individuo ad essere più caritatevole verso una persona vulnerabile specifica e identificabile rispetto a un gruppo più ampio e ambiguo con un uguale o maggiore bisogno di aiuto. È per questo che una pubblicità televisiva che mostra un bambino di nome Raul di 5 anni con una malattia rara potrebbe essere significativamente più efficace nel sollecitare donazioni rispetto ad uno spot che raffigura milioni di bambini che muoiono ogni anno a causa dell’insufficiente accesso all’acqua potabile pulita. L’effetto vittima identificabile è ben riassunto da una citazione comunemente attribuita a Joseph Stalin: “Una sola morte è una tragedia. Un milione di morti è una statistica“.

Esistono prove empiriche che confermano l’effetto vittima identificabile nell’ambito del comportamento di dono. In uno studio condotto da Small, Loewenstein e Slovic nel 2007 a i partecipanti sono state consegnate tre lettere con contenuto diverso: la prima conteneva la storia di Rokia, una ragazza affamata del Mali; la seconda, una statistica su quanti bambini muoiono di fame in Mali; la terza, la descrizione di Rokia in aggiunta alle informazioni statistiche. Delle tre condizioni, la lettera che presentava la storia di Rokia da sola ha ricevuto la donazione media più alta.

Se identificare i bias è un elemento essenziale per comprendere il comportamento di dono, dobbiamo però anche chiederci come fare per aggirare le barriere cognitive e gli errori di ragionamento in cui tendiamo a cadere. Gli autori dell’articolo, grazie alle loro conoscenze in materia di Architettura delle Scelte, provano a darci una risposta.

Soluzioni per la polarizzazione della distanza

Un modo possibile per aggirare il bias della distanza potrebbe essere quello di ridurre la distanza psicologica tra donatori e beneficiari quando si richiedono donazioni. Un esempio chiaro si ha nella comunicazione dei cambiamenti climatici. In un esperimento i ricercatori hanno mostrato che la riduzione della distanza psicologica ha aumentato significativamente le intenzioni di mitigazione degli effetti del cambiamento climatico sull’ambiente. Nell’esperimento il gruppo a cui è stato fatto vedere un video contenente degli ipotetici impatti dei cambiamenti climatici sul loro ambiente locale ha registrato un aumento della volontà di agire maggiore rispetto al gruppo di controllo (che invece ha osservato gli impatti dei cambiamenti climatici su altri paesi). Le somiglianze tra il cambiamento climatico e le decisioni altruistiche – vale a dire, l’incertezza relativa agli impatti delle singole azioni, la necessità di sacrificarsi nel presente e la distanza geografica tra gli attori – potrebbero servire come un utile analogo per identificare strategie che migliorino l’efficacia delle decisioni altruistiche. 

Sulla base della letteratura di cui sopra, gli enti di beneficenza potrebbero potenzialmente combattere il bias della distanza comunicando gli impatti basati sull’evidenza del loro lavoro attraverso termini referenziali che i donatori possono facilmente interpretare. Dire ai cittadini di New York “Ogni 10 giorni, muoiono di malaria abbastanza persone da riempire il Madison Square Garden” potrebbe essere più saliente che dire “Ogni 45 secondi, un bambino muore da qualche parte nel mondo per malaria”, riducendo così la distanza percepita. Un’altra possibilità potrebbe essere quella di creare un’identità alle statistiche: “Ogni 45 secondi, un bambino simile a Rokia muore in Mali”.

Il processo decisionale legato al dono può migliorare anche quando l’impatto della donazione viene presentato attraverso termini o espressioni che al donatore stanno a cuore: il numero di vite salvate, il numero di persone guarite da un disturbo o l’aumento del reddito dei destinatari di un intervento, per esempio.

Soluzioni per l’effetto vittima identificabile

Le evidenze empiriche ci dicono che quando si focalizza il messaggio sulla vittima identificabile, una percentuale maggiore di beneficiari può essere salvata rispetto a quanto succede quando si parla di gruppi statistici. Alcuni autori della ricerca hanno osservato che “Quando le vittime vengono identificate è chiaro esattamente quante persone moriranno, ma quando le vittime sono statistiche è sempre possibile che ne moriranno di più o di meno […] I partecipanti allo studio sentivano che evitare morti certe fosse più importante che evitare morti incerte”.

Questa ambiguità può potenzialmente essere migliorata comunicando i valori attesi, mostrando così ai donatori che possono effettivamente fare una differenza tangibile. Se, ad esempio, una donazione ha una probabilità del 50% di salvare dieci vite, sarebbe meglio comunicare che quella donazione salverà certamente cinque vite invece che trasmettere il messaggio che la donazione può potenzialmente salvarne dieci -senza nessuna garanzia di certezza- . Una soluzione ancora più efficace potrebbe essere quella di sfruttare l’avversione alla perdita (la naturale tendenza umana a preferire di evitare perdite piuttosto che acquisire guadagni equivalenti): la donazione, cioè, andrebbe presentata come mezzo per prevenire cinque morti anziché come mezzo per salvare cinque vite.

Conclusione

Il bias della distanza e l’effetto vittima identificabile possono fare luce sul perché le nostre intenzioni di dono spesso non si concretizzano in azioni. Le organizzazioni non profit sarebbero decisamente agevolate se conoscessero alcuni dei principi delle Scienze del Comportamento e se approfondissero le ragioni e le situazioni che portano gli esseri umani – e, quindi, i loro donatori – a cadere negli errori di giudizio. Il Terzo Settore merita di adottare un approccio evidence-based allo studio delle decisioni e dei comportamenti legati al dono per generare un impatto reale sul mondo.

Gli insight dell’Economia Comportamentale e dell’Architettura delle Scelte hanno un enorme potere trasformativo per individui ed organizzazioni e, grazie alle evidenze scientifiche accumulatesi negli ultimi anni, sono realmente in grado di favorire decisioni migliori.    


FONTI

1Julian Hazell (The Decision Lab). Cognitive Biases Stop Us From Donating Effectively. https://thedecisionlab.com/insights/policy/cognitive-biases-stop-us-from-donating-effectively/