Cosa ci motiva veramente? Miti e studi sulla motivazione

di Alice Barbieri

Quando sentiamo parlare di motivazione, spesso associamo “il volere qualcosa”, il sentire una spinta verso un obiettivo e verso la soddisfazione di un nostro bisogno. Seguendo il senso comune, potremmo pensare alla motivazione come un qualcosa on/off: o è presente, o è assente in una persona, in uno studente, in un team di lavoro o in un’intera organizzazione. Vista così, la motivazione sembra qualcosa di statico: se c’è, c’è; se non c’è, è difficile costruirla.

La motivazione secondo gli scienziati del comportamento

Gli scienziati del comportamento (noi tra questi) non si riconoscono nella definizione di motivazione data dal senso comune. Questa definizione, infatti, è astratta e non ci permette di osservare la motivazione come un processo psicologico, misurabile, malleabile e dinamico. Secondo i principi della Behavioral Economics la motivazione è modificabile e possiamo imparare a costruirla attraverso l’utilizzo di alcune tecniche. Da una prospettiva comportamentale, infatti, la motivazione può essere intesa come un processo e, essendo questo processo osservabile, è possibile apprendere alcune tecniche di Architettura delle Scelte1 che mi permettono di influenzarlo

Come riportato nel manuale Interazioni Umane curato dal Professor Paolo Moderato1, “lo studio della motivazione permette di comprendere perché un individuo agisce determinati comportamenti” (p. 341). Per cambiare i comportamenti delle persone, delle organizzazioni, delle istituzioni e delle comunità possiamo agire sulle decisioni che vengono prese, giorno dopo giorno.

Alcuni miti sulla motivazione

Lo psicologo ed economista comportamentale Dan Ariely ha condotto alcuni studi per indagare la motivazione delle persone nei contesti di vita personale e lavorativa. Partendo dalla sua esperienza di dolore cronico a seguito di una grave ustione su tutto il corpo, si è chiesto il “perché” di questa sofferenza e che cosa spinga effettivamente le persone ad andare avanti, nonostante gli ostacoli e le avversità. Secondo l’autore il significato e il valore che attribuiamo alle cose ci motiva e il modo in cui le pensiamo aumenta le probabilità che ci comportiamo in un certo modo.I suoi studi di economia comportamentale hanno mostrato che esiste una dissonanza tra ciò che pensiamo motivi le persone e ciò che effettivamente lo fa2.

In questo articolo, passeremo in rassegna alcuni miti sulla motivazione e analizzeremo gli studi che sono stati condotti sul tema.

1.      Falso mito: la motivazione o c’è o non c’è 

Dan Ariely e alcuni colleghi2 hanno condotto un esperimento per indagare l’importanza del significato attribuito al proprio lavoro. Hanno chiesto ai partecipanti dello studio di costruire dei Bionicle e li hanno pagati per ogni giocattolo Lego che terminavano. L’esperimento prevedeva una paga di 2 dollari per il primo Bionicle costruito dai partecipanti; la paga, tuttavia, si riduceva di 0.11 dollari ogni nuovo Bionicle costruito.

I partecipanti sono stati suddivisi in due gruppi. Il primo gruppo lavorava in una condizione in cui al lavoro svolto veniva dato un significato: ogni Bionicle costruito veniva posizionato sul tavolo davanti allo sperimentatore, che forniva pezzi “nuovi di zecca” ad ogni sessione per costruire nuovi Bionicle. Il secondo gruppo lavorava nella condizione “di Sisifo”: nel momento in cui i partecipanti consegnavano un Bionicle, gli sperimentatori lo smontavano davanti ai loro occhi e i partecipanti dovevano utilizzare quegli stessi pezzi per costruire il giocattolo successivo.

I risultati hanno mostrato che le persone che lavoravano nella condizione significativa hanno costruito una media di 10.6 Bionicle, mentre il gruppo nella condizione di Sisifo ha costruito una media di 7.2 giocattoli. Dan Ariely sostiene che i risultati dello studio mostrano come il significato e la motivazione che ne deriva siano fondati su un senso di avere uno scopo e sul riconoscimento del proprio lavoro2.

Spesso sottovalutiamo l’importanza del significato, anche nel contesto lavorativo: appoggiare semplicemente i giocattoli costruiti sul tavolo fa andare avanti i partecipanti a costruirne altri. Possiamo creare la motivazione, anche con riconoscimenti semplici, e distruggerla con altrettanta facilità.

2.      Falso mito: la felicità è un prerequisito della motivazione

Quando pensiamo al quadro perfetto della felicità potremmo immaginare noi stessi seduti a bordo piscina a sorseggiare un drink dissetante. La durata della felicità in questa situazione sarà momentanea – per esempio, a fine vacanza probabilmente dovremmo tornare in ufficio a lavorare e a svolgere altre attività della nostra routine.

Se ti chiedessi di pensare a qualcosa che ti ha reso davvero felice nel corso della tua vita, che cosa risponderesti? Non deve essere necessariamente l’evento più felice della tua vita, basta che sia qualcosa che ti è capitato e che ti ha fatto provare felicità3.

Quello che spesso alle persone viene in mente associato alla felicità è qualcosa di laborioso, difficile e non sempre gratificante in maniera continua3.  Perché dedichiamo così tanto tempo a prepararci per un colloquio, a scrivere un progetto che non ci fa dormire la notte, a prepararci per l’arrivo di un figlio?

Queste attività sono difficili e intense e spesso non ci rendono felici continuamente, di per sé. Felicità e motivazione sono differenti e, anche se spesso sono collegate, a volte potrebbero non esserlo. Le cose che ci motivano non necessariamente ci rendono sempre felici e viceversa, le cose che ci rendono felici, non sempre hanno un significato per noi2

Russ Harris nel libro “La trappola della felicità4 ci spiega che quello che per noi è importante e i nostri valori sono un “antidoto potente”: ci permettono di portare scopo, significato e passione alla nostra vita. In questo modo, possiamo agire in direzione di quello che per noi è importante e ci motiva, indipendentemente dalla felicità che ne deriva e dagli ostacoli che emergono.4

3.      Falso mito: il denaro come unica fonte di motivazione

Se pensiamo alla motivazione come una formula matematica, quello che potrebbe venirci in mente è denaro = motivazione. Questa equazione potrebbe farci pensare che maggiore è la quantità di denaro data al dipendente, migliore sarà il suo lavoro e la sua performance3. I premi che hanno un valore economico sono un incentivo che può aumentare la nostra motivazione, ma sono davvero l’unico aspetto che ci spinge a lavorare e a comportarci in un determinato modo?

Kosfeld e Neckermann (2011)4 hanno condotto uno studio per indagare quali aspetti dei premi motivano maggiormente i dipendenti, in modo tale da progettare programmi più personalizzati e più efficaci.

I ricercatori hanno condotto lo studio su 150 studenti universitari che hanno svolto un compito specifico di inserimento dati al computer. Gli studenti sono stati assegnati casualmente a due gruppi: nel gruppo sperimentale agli studenti è stato promesso un premio simbolico che consisteva in un biglietto di congratulazioni personalizzato, assegnato sulla base della migliore prestazione; nel gruppo di controllo gli studenti hanno lavorato esattamente nelle stesse condizioni, con la differenza che in questo secondo caso non è stato offerto loro nessun premio.

I risultati dello studio mostrano che il premio simbolico aumentava significativamente la performance di circa il 12%5.

Come mostrato anche da altri studi simili condotti da Dan Ariely, il nostro errore più comune quando pensiamo alla motivazione è quello di vederla come immediatamente legata al denaro. Troppo spesso trascuriamo il valore che un’attività ha per noi, il significato e il senso di realizzazione che ne può derivare. Questi sono premi ed incentivi molto più potenti del denaro e sono in grado di fare la differenza per il lavoro degli altri.2

Questo cambio di prospettiva sulla motivazione non solo ci è utile, ma è anche necessario. Gli scienziati del comportamento sono in grado di disegnare Architetture delle Scelte e progettare contesti capaci di costruire e sostenere la motivazione; motivazione che, lo ricordiamo, risponde alle stesse leggi che caratterizzano qualsiasi altro processo dinamico umano.


FONTI

1Moderato, P., Carnevali, D., Cesareo, M., Copelli, C., Manzotti, R., et al. (2019). Interazioni Umane. Manuale di psicologia contestualista. Milano: Franco Angeli.

2Ariely, D. (2019). Perché. La logica nascosta delle nostre motivazioni. (Uzzielli, M., Trans.) Macerata: ROI edizioni.

3Motivation escapes us when we don’t understand its machinery. Big Think. (2021, 30 Settembre). Consultato il 30 Marzo, 2022, da https://bigthink.com/the-present/dan-ariely-on-the-science-of-motivation-and-pursuing-happiness/ 

4Harris, R. (2010). La trappola della felicità. Come smettere di tormentarsi e iniziare a vivere. Trento: Erickson.

5Kosfeld, M., & Neckermann, S. (2011). Getting More Work for Nothing? Symbolic Awards and Worker Performance. American Economic Journal: Microeconomics3(3), 86–99. http://www.jstor.org/stable/41237198

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L’autrice

Alice Barbieri

Laureata in Psicologia Clinica dell’età evolutiva, si è presto appassionata alle scienze comportamentali. Collabora con aBetterPlace e il Centro Interazioni Umane di Milano, dove sta approfondendo la Behavioral Economics ed i suoi legami ed applicazioni al mondo interno degli individui. Ama leggere, viaggiare ed esplorare con curiosità quello che ci circonda.