La Behavioral Economics nell’Arte: il caso di Peggy Guggenheim

di Giorgia Verde

Leonardo da Vinci, Michelangelo Buonarroti, Raffaello Sanzio: tutto il mondo conosce i nomi di questi incontrastati geni dell’arte. Non sempre si riflette tuttavia sul fatto che, senza una nutrita schiera di committenti dell’epoca, i loro nomi potrebbero oggi essere per noi del tutto ignoti.

Seppur non celebri come gli artisti che hanno deciso di rappresentare, i collezionisti e mecenati hanno un ruolo fondamentale per il contesto creativo, non solo plasmandolo, ma creandolo totalmente. Queste personalità consistono infatti nel vero pubblico che muove l’intero sistema dell’arte e che, possedendo le opere, ne enfatizza il carattere di unicità e rarità polarizzando l’attenzione del vasto pubblico di appassionati verso un range ristretto di pochi artisti.

Perché investire il proprio tempo e denaro nel settore artistico? Nel 2019 le vendite globali di arte e antiquariato hanno raggiunto l’esorbitante fatturato di 64,1 miliardi di dollari, dunque è plausibile che per i collezionisti occasionali gli investimenti in arte siano particolarmente appetibili da un punto di vista finanziario e speculativo. È però interessante osservare il desiderio di alcuni – seppur non spinti da una vera e propria passione – di avvicinarsi ad un campo a loro sconosciuto, indice dell’emergere di un intimo interesse verso la pratica di un artista.

Un case study singolare ed unico nel suo genere consiste nella vicenda della celeberrima mecenate statunitense Peggy Guggenheim, che con la sua personalità travagliata è stata in grado di plasmare la storia dell’arte di tutto il Novecento. L’approccio all’arte inconsapevole e piuttosto casuale di questa collezionista ha permesso l’articolarsi di un’esperienza costellata da scelte dettate da eventi personali, storici o talvolta – all’apparenza – inspiegabili, interessanti dunque da analizzare in modo sistematico ed approfondito attraverso gli strumenti della Behavioral Economics.

Figlia di due rappresentanti delle famiglie ebraiche più ricche di New York, Peggy trascorre la sua infanzia dorata in solitudine e secondo i dettami dell’élite del tempo. 

La famiglia di Peggy si trova presto a dover ridimensionare il proprio stile di vita a causa dell’improvvisa scomparsa del padre, morto nel naufragio del Titanic, il quale aveva lasciato gli affari in una pessima situazione rompendo la collaborazione con i fratelli.

Raggiunto il suo ventunesimo compleanno, la ragazza si impossessa finalmente dell’eredità che le spetta raggiungendo l’indipendenza economica dalla madre, ma la scelta di abbracciare l’arte come vera e propria professione avviene intorno ai quarant’anni, quando la Guggenheim, stanca di essere “nient’altro che una moglie”, decide di aprire una galleria su consiglio di un’amica.

Durante il primo periodo della carriera di collezionista e mecenate, decide di spostarsi in Europa e avvalersi dei consigli di un entourage d’eccellenza, composto da artisti e critici del calibro di Samuel Beckett, Herbert Read e Marcel Duchamp. Non essendo ancora esperta in ambito artistico, Peggy affronta le decisioni in questa fase sfruttando la sua cerchia di conoscenze come una bussola tramite la quale orientarsi in un ambito che ancora non padroneggia. 

Spicca così un meccanismo decisionale definibile come drifting, la delega delle proprie scelte ad individui esperti. Fronteggiare infatti una decisione senza detenere gli strumenti adeguati risulta estremamente rischioso, motivo per il quale Peggy decide di agire interpellando dei professionisti e accettando la scarsa razionalità tipica degli individui Umani, che distinguiamo da coloro i quali Thaler e Sunstein chiamano Econi, i perfetti decisori (ipotetici e non realistici) in grado di effettuare scelte non distorte da euristiche e bias.

Acquisita esperienza grazie alla galleria Guggenheim Jeune e alle nuove conoscenze nel panorama artistico internazionale, Peggy appare più consapevole e sicura delle proprie capacità: le scelte sono da questo momento affrontate in modo più autonomo e guidate maggiormente da dinamiche esterne.

È infatti la galleria-museo Art of This Century, inaugurata a New York nel 1942, che regala alla collezionista la fama che tutt’oggi la accompagna. Il potere di lanciare nuovi artisti e decretarne il successo è nelle sue mani, e Peggy Guggenheim usa questa opportunità per la più nobile delle cause. Fuggita negli Stati Uniti con un gruppo di amici e artisti da lei protetti, decide di dedicare la programmazione di Art of This Century ad un’arte libera, di transizione, aperta alle diverse culture degli artisti esiliati, esprimendo loro solidarietà e rappresentando tensioni culturali coeve che nell’Europa ormai invasa dai Nazisti non trovavano più spazio. In tal modo si nota l’emergere di un comportamento definibile in-group bias, la tendenza a riservare un trattamento preferenziale a coloro i quali appartengono allo stesso gruppo. 

Nello stesso periodo, opponendosi all’impronta socioculturale dell’epoca, Peggy lotta per combattere il pregiudizio di genere, o gender bias. Decide così di dedicare parte della programmazione alle artiste, spesso escluse dal panorama artistico, riservando loro mostre come Exhibition by 31 Women (1943) e The Women (1945). Il ruolo di Peggy Guggenheim è stato dunque decisivo nell’affermazione delle donne, che hanno raggiunto il 40% degli artisti presentati in galleria, riservando loro un terzo delle 36 personali organizzate.

Il caso di Peggy Guggenheim è unico nel suo genere in virtù del suo incredibile carisma e dello stimolante ambiente in cui ha vissuto: ad un primo impatto infatti molte scelte compiute possono apparire irrazionali, avventate o addirittura bizzarre. Per tentare di comprendere a fondo l’architettura delle scelte della mecenate, spiegandone i meccanismi, sono di estrema utilità gli strumenti della Behavioral Economics. L’individuazione di euristiche e bias svela e spiega i processi decisionali più astrusi e mette in luce le cause e le conseguenze della psicologia e umana: questa nuova branca dell’economia potrebbe dunque portare a interessanti  innovazioni nello studio del collezionismo, sia nella storia dell’arte che al giorno d’oggi.

La figura del collezionista ha assunto nel corso degli anni significati e responsabilità crescenti, ed il cambiamento del settore artistico ha focalizzato l’attenzione su queste personalità la cui estrazione sociale, nella maggior parte dei casi, non è profondamente cambiata. Le grandi famiglie imprenditoriali percepiscono tutt’oggi la necessità di investire parte dei loro capitali a sostegno dell’arte o di giovani artisti: tale scelta razionale viene intrapresa non solo per scopi economici, bensì per il mantenimento di una buona immagine mediatica, fondamentale per un business di successo.
In altrettanti casi è invece la passione a regnare sovrana: molti sono infatti gli esempi di collezionisti virtuosi che hanno investito ininterrottamente nell’arte. L’obiettivo di questi mecenati visionari consiste nel considerare l’arte come valore universale, aprendo le proprie collezioni in modo democratico a tutta la collettività e abbattendo ogni barriera di esclusività a favore della pubblica condivisione, ragion d’essere e simbolo di libertà dell’arte.

Per questi motivi è fondamentale sostenere e riconoscere l’importanza del collezionismo, interpretato da questi individui come una sorta di missione e volto alla costruzione di una società inclusiva. In modo del tutto simile agli ideali patrocinati da Peggy Guggenheim, mirano al sostegno di giovani artisti e all’idea altruista di porre un valore così importante al servizio della società.


Gli strumenti della Behavioral Economics sono un prezioso fondamento per analizzare le dinamiche di questo fenomeno e comprendere scelte o peculiarità difficilmente individuabili, al fine di studiare i cambiamenti nella società contemporanea e nella storia e osservare da punti di vista inediti le decisioni di chi ha impugnato le redini dell’universo artistico, plasmandolo irreversibilmente.

FONTI

1Poli, F. (2015). Il sistema dell’arte contemporanea: produzione artistica, mercato, musei, Laterza

2Art Basel & UBS report, The Art Market 2020 https://d2u3kfwd92fzu7.cloudfront.net/The_Art_Market_2020-1.pdf

3Guggenheim, P.(2015). Una vita per l’arte: confessioni di una donna che ha amato l’arte e gli artisti 

4Thaler, H.R. & Sunstein. C.R. (2014). Nudge. La spinta gentile: la nuova strategia per migliorare le nostre decisioni su denaro, salute, felicità. Feltrinelli.