Promuovere l’inclusione delle persone LGBTQ+: parola alla Behavioral Economics

di Alice Barbieri

Durante il mese di giugno abbiamo visto numerose città italiane colorarsi di arcobaleno per celebrare il Pride Month, ovvero il mese dell’orgoglio della comunità LGBTQ+. 

L’acronimo LGBTQ+ indica le persone “Lesbiche, Gay, Bisessuali, Trans*, Queer e tutte le persone che sono non-eterosessuali o che hanno un’identità di genere non-normativa. Infatti, l’aggiunta del + alla fine dell’acronimo indica un’apertura a nuove identità sessuali”1

Quando parliamo dell’identità sessuale di una persona facciamo riferimento a quattro dimensioni che la compongono2:  

  1. al sesso assegnato alla nascita; 
  2. all’identità di genere, cioè il modo in cui ci percepiamo e in cui facciamo riferimento a noi stessi;
  3. all’espressione e al ruolo di genere; 
  4. all’orientamento sessuale, romantico e affettivo, cioè a chi ci attrae dal punto di vista emotivo, romantico e sessuale.

Nel momento in cui alle persone della comunità LGBTQ+ viene negata la piena partecipazione alla società e al lavoro a causa della propria identità sessuale, i loro diritti umani vengono violati3

Come possiamo riconoscere le barriere che ostacolano una società e un ambiente lavorativo più inclusivo per tutti? In questo articolo proveremo ad indossare le lenti delle scienze comportamentali per indagare gli errori sistematici (o bias) che possono ostacolare l’inclusione delle persone della comunità LGBTQ+. 

Il problema 

Di quali diritti umani parliamo?

Prima tra tutti la libertà dalla violenza. Le persone LGBTQ+ subiscono violenze fisiche e psicologiche in molti Paesi, indipendentemente dal fatto che questi Paesi siano ad alto o basso reddito3. Le lesioni fisiche e i sintomi psicologici possono limitare le loro capacità di lavorare: il trauma e il dolore che derivano dalla violenza possono rendere difficile la concentrazione sul posto di lavoro. Inoltre, può aumentare il timore di aggressioni future fino a portare alcune persone a scegliere di non lavorare e non recarsi più sul posto di lavoro. 

Un secondo diritto umano che viene violato è la non discriminazione sul posto di lavoro. Stonewall4 (un ente di beneficenza Europeo che si occupa dei diritti delle persone LGBTQ+) ha mostrato che il 35% dei lavoratori intervistati della comunità LGBQ+ ha nascosto la propria identità sessuale sul posto di lavoro per paura di subire violenze e di essere discriminato.  

Lo stesso report di Stonewall ha mostrato che il 18% delle persone LGBTQ+ alla ricerca di un lavoro ha subito una discriminazione per il proprio orientamento sessuale o per la propria identità di genere nell’ultimo anno. Inoltre, le persone intervistate hanno dichiarato di temere molestie e discriminazioni sul posto di lavoro, oltre che aspettativi salariali inferiori rispetto ai loro colleghi e questo solo a causa della loro identità sessuale4

Queste discriminazioni hanno inevitabilmente un impatto negativo sul livello di sviluppo economico di un Paese. Uno studio ha stimato i benefici economici dei Paesi che includono le persone della comunità LGBTQ+ sul posto di lavoro: quando vengono inclusi nella società e vengono riconosciuti i loro diritti legali, lo sviluppo economico – in termini di PIL pro capite dei Paesi – aumenta3

Possiamo utilizzare le lenti delle scienze comportamentali per celebrare il mese del Pride: la diversità e l’inclusione dovrebbero essere un obiettivo centrale per tutti noi. 

Quali errori sistematici (o bias) alimentano questo problema? 

Il sito BVA Nudge Consulting ha pubblicato una guida al Pride5 per analizzare alcuni errori sistematici (o bias) che possono presentarsi nei confronti delle persone della comunità LGBTQ+. 

Ecco una lista di bias che possono essere presenti sia sul posto di lavoro che nella nostra vita di tutti i giorni che ostacolano l’inclusione delle persone LGBTQ+. 

Default bias

Tendiamo a preferire l’attuale stato delle cose e siamo resistenti al cambiamento. Viviamo in una società in cui è presente una visione etero-centrica e cis-centrica “di default”. 

Il primo termine indica la centralità dell’ottica eterosessuale nella società: tendiamo a leggere i fenomeni, dando per scontata l’eterosessualità delle persone2. Per esempio chiedendo ad un ragazza “Hai un ragazzo?” , diamo per assodato che l’orientamento sessuale della ragazza sia eterosessuale. 

Il secondo termine indica la centralità dell’ottica cisgender nella società: tendiamo a leggere i fenomeni, dando per scontato che l’identità di genere delle persone corrisponda al loro sesso assegnato alla nascita2. Quando incontriamo una persona il cui sesso assegnato alla nascita è femminile, utilizziamo in automatico il pronome “lei”, dando per assodato che questa persona si riconosca nell’identità di genere femminile. 

Anche se spesso la visione etero-centrica e cis-centrica non sono letture volontarie della realtà, entrambi questi fenomeni possono alimentare la discriminazione delle persone della comunità LGBTQ+ e accrescere lo stigma sociale verso di loro2.

Euristica della rappresentatività 

L’esperienza passata che abbiamo accumulato negli anni e la nostra storia di apprendimento influenzano inevitabilmente il nostro processo decisionale. Infatti, le decisioni che prendiamo sono basate sugli elementi e sui prototipi che già esistono nella nostra mente.

Dato che, in fase di presa di decisione, facciamo affidamento sulla somiglianza tra un oggetto, un elemento o una categoria di persone e i nostri prototipi e schemi mentali, spesso non prendiamo in considerazioni le informazioni che sono oggettivamente presenti nel contesto in cui ci troviamo. L’euristica della rappresentatività può indurci a commettere errori e ad utilizzare stereotipi per esprimere giudizi sulle persone che abbiamo di fronte – per esempio nei confronti delle minoranze di sessuali e di genere. 

Pessimism bias

Tendiamo a sovrastimare la probabilità che le cose vadano male e sottostimare la probabilità che le cose vadano bene. La nostra tendenza è di vedere il bicchiere “mezzo vuoto” e le scelte che compiano sulla base di queste convinzioni ci portano a volte fuori strada. 

Per esempio, le discriminazioni che subiscono le persone della comunità LGBTQ+ riducono gli incentivi dei lavoratori a investire in capitale umano sulla loro formazione e istruzione3. Il risultato di questo bias è che i manager e i leader evitano di fare delle scelte inclusive per paura di commettere errori sul posto di lavoro e per l’incertezza dei loro investimenti sulle persone della comunità LGBTQ+5 .

In-group bias

Tendiamo a favorire le persone che sono più simili a noi e che appartengono al nostro stesso gruppo. Questo bias può danneggiare le relazioni con le persone che non fanno parte dell’in-group, come chi appartiene a minoranze sessuali e di genere5

Questo aspetto si traduce anche in una mancanza di studi e dati sulla comunità LGBTQ+. Da un lato, manca un monitoraggio della violenza verso la comunità che rende impossibile identificare la portata di questo fenomeno. Dall’altro lato, mancano dei servizi di prevenzione e di salute che rispondano adeguatamente alle esigenze delle persone LGBTQ+. Di conseguenza, la sicurezza e i servizi che tutelano i cittadini sono a “misura” della maggioranza e poco tutelanti nei confronti della minoranza sessuale e di genere3

“Si può avere una mente aperta, grandi intenzioni e manifestare il proprio sostegno per la comunità LGBTQ+, ma la vera alleanza sta in ciò che si fa”.5 Il primo passo per essere alleati della comunità LGBTQ+ è imparare a riconoscere le barriere che potrebbero ostacolarne l’inclusione. Quando diventiamo consapevoli dei bias che emergono, possiamo mitigarne gli effetti. 

L’Economia Comportamentale ci può aiutare a diventare consapevoli degli errori sistematici che si attivano sul posto di lavoro e nella nostra vita di tutti i giorni, ricordandoci che siamo unici e speciali, esattamente come tutti gli altri. 


FONTI

1IFM – SEI. (2014). Risorse Arcobaleno (Rainbow Resources) Compasito Specifico su Sessualità e Genere. 

https://www.arciragazzi.it/downloads/risorse-arcobaleno-web_1.pdf

2Ordine degli Psicologi della Lombardia, OPL. (2021). Glossario LGBTQ+ per la professione psicologica. https://www.opl.it/public/files/17141-OPL_Dossier-LGBT+_singolapdf.pdf 

3Badgett, M. V. L., Waaldijk, K., & Rodgers, Y. van. (2019). The relationship between LGBT inclusion and economic development: Macro-level evidence. World Development, 120, 1–14. 

4Stonewall. (2018). LGBT in Britain – Work Report. https://www.stonewall.org.uk/lgbt-britain-work-report 

5BVA Nudge Consulting. (2021). Pride Guide: Fostering LGBTQ+ Inclusion in the Workplace. https://www.bvanudgeconsulting.com/pride-guide-fostering-lgbtq-inclusion-in-the-workplace/ 

6Inclusion Nudges. (n.d.). The Power of Inclusion Nudges (Quick Guide). https://inclusion-nudges.org/power-inclusion-nudges/

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L’autrice

Alice Barbieri

Laureata in Psicologia Clinica dell’età evolutiva, si è presto appassionata alle scienze comportamentali. Collabora con aBetterPlace e il Centro Interazioni Umane di Milano, dove sta approfondendo la Behavioral Economics ed i suoi legami ed applicazioni al mondo interno degli individui. Ama leggere, viaggiare ed esplorare con curiosità quello che ci circonda.