Reagire con positività alle negatività: il punto di vista della Behavioral Economics

Vittoria Perego // Anno 2020. Covid. Incertezze, paure e perplessità. Cosa succederà? Come evolverà la situazione? Cosa è successo e come abbiamo cercato di reagire nel breve tempo passato? Sono domande che ci poniamo quasi tutti i giorni ma ogni volta non riusciamo a dare una risposta completa e soddisfacente. Purtroppo il dubbio prende sempre la meglio. Se però cerchiamo di focalizzarci su alcuni momenti salienti e osservare i comportamenti che tutti noi abbiamo messo in atto, a primo impatto ci possono sembrare strani e del tutto casuali. Kahneman e Tversky (1979; 2012), con i loro studi pioneristici di economia comportamentale, hanno infatti dimostrato che noi esseri umani non siamo impeccabili decisori perfettamente razionali come si era creduto in precedenza.

Tutto ciò applicato al tempo presente trova un importante terreno di riscontro. Apriamo una piccola parentesi che ci aiuterà poi a tirare le fila del discorso. Quante volte è capitato a tutti noi, nel quotidiano, di usare come sinonimi le parole rischio e pericolo? È una sovrapposizione comune, ma in realtà i due termini celano significati ben differenti. Il rischio comprende quelle situazioni in cui le conseguenze negative sono solo possibili, al contrario nelle situazioni di pericolo le conseguenze negative sono certe. Focalizziamoci proprio sui rischi: stimarne l’entità e la gravità è qualcosa di molto complesso e articolato. Nel percepire una situazione come rischiosa entrano in gioco alcuni fattori determinanti che riguardano l’eventuale possibilità di perdere qualcuno/qualcosa a noi caro, la possibilità di subire un danno, lo stabilire “quanto” è importante ciò che si perde o ciò che viene danneggiato e infine, ma non meno importante, proprio l’incertezza di poter subire o meno le conseguenze negative dell’evento. Stimare un rischio è qualcosa di molto difficile, anche i modelli della risk analysis hanno margini di errore, attribuire caratteristiche oggettive a una situazione composta da molteplici aspetti è complesso e con difficoltà ne emerge un lavoro esaustivo (Rumiati, et al., 2008). Molto probabilmente è per l’insieme di questi elementi che le persone, pur attraversando una pandemia, attuano comportamenti apparentemente immotivati: dilaga l’incertezza, il non sapere se quello che si fa e dove si va è giusto, se si hanno avuti contatti con soggetti risultati positivi al tampone, ecc… Il Covid, insomma, è in generale per il mondo e per la società un pericolo, per noi nello specifico un rischio.

Per specificare meglio il significato di rischio e pericolo, ad esempio, una ricerca di Paul Slovic e colleghi (1987; 1980) ha posto gli americani di fronte alla seguente domanda:

Che cosa, secondo voi, tra ictus e morte accidentale causa un maggiore numero di decessi?

Gli ictus, dati alla mano, causano il doppio dei decessi rispetto agli incidenti, eppure l’80% degli intervistati risponde “morte accidentale”. Il secondo è un evento percepito come molto pericoloso perché viene spesso raccontato dai giornali, rimane impresso. Il numero di decessi a causa di ictus o patologie cardiache è molto superiore ma tendiamo a sottovalutarlo perché è un evento comune, non sensazionale, e quindi difficilmente rimane “impresso nella memoria” (Lichtestein, et al., 1978). Perché? Come mai succede questo? Entra in gioco quella che l’economia comportamentale ha chiamato “euristica della disponibilità” che identifica l’atteggiamento del trarre inconsapevolmente conclusioni sulla base di pochi indizi i quali ci permettono di arrivare in breve tempo e con il minimo sforzo cognitivo a una conclusione per noi convincente. Questo può portare però anche a delle conseguenze negative e inaspettate.

Ecco, infatti, un altro esempio esplicativo in riferimento a quanto successo con la birra Corona in concomitanza all’avvento del Covid durante il periodo del lockdown. Osservate il grafico sottostante, la linea rossa rappresenta il termine “Corona Beer Virus” e la linea blu il termine “Beer Coronavirus”. Notate qualcosa di strano?

Fonte: Google Trends

Il grafico mostra la tendenza globale degli ultimi 12 mesi (fino ad oggi) delle persone nel mondo ad associare spontaneamente per somiglianza i termini birra-corona-virus, soprattutto durante il primo periodo di diffusione del virus.

Senza la volontà di sottolineare relazioni di causa-effetto, sono presenti sulle principali testate giornalistiche dati inerenti l’impatto economico sul marchio, il calo nelle preferenze d’acquisto tra i consumatori e un’importante perdita nella borsa statunitense del gruppo Constellation Brands Inc di cui il marchio messicano fa parte (alla fine di marzo 2020 ha quasi toccato lo zero).

Fonte: Bloomberg

Può sembrare una stranezza ma ciò che sicuramente è successo è un’associazione a livello semantico. Le persone tramite le “scorciatoie mentali” hanno giudicato come in qualche modo associati due elementi (birra – virus) che nei fatti appartengono a due realtà/categorie distinte. Non possiamo affermare che ciò abbia provocato le conseguenze succitate, ma possiamo tenerla come un’ipotesi che necessita di ulteriori approfondimenti.

L’episodio che ho voluto menzionare, in qualche modo, può essere considerato come un’altra dimostrazione della teoria dell’uomo irrazionale di Kahneman e Tversky.

Si tratta di fenomeni apparentemente strani, eppure sempre Kahneman e colleghi ci forniscono una spiegazione secondo la quale, in quanto esseri umani, mettiamo regolarmente in atto comportamenti di questo tipo:

  • euristica della disponibilità: tendenza a trarre conclusioni affrettate usando pochi indizi e facendo il minor sforzo cognitivo;
  • creazione di correlazioni illusorie: tendenza a individuare nessi di causa-effetto tra elementi e situazioni che solo apparentemente sono connessi;
  • ricerca delle conferme: tendenza a cercare, selezionare e quindi concentrarsi solo su quelle notizie che confermano le proprie teorie e ipotesi;
  • effetto gregge: tendenza a lasciarci influenzare da ciò che fanno gli altri e quindi copiarli. È un effetto strettamente connesso al conformismo sociale che ci spinge a non fare cose diverse per paura di essere giudicati negativamente da chi ci circonda.

In entrambi gli esempi riportati, e in generale, emerge chiaramente come l’essere umano anche in situazioni critiche che percepisce come pericolose voglia arrivare velocemente al nocciolo della questione indipendentemente dalla tipologia e dal contenuto della risposta. Abbiamo bisogno di certezze su cui muoverci e orientarci. Il fatto che oggi sia possibile dare un nome a questi comportamenti che mettiamo in atto ci permette di prendere consapevolezza degli eventi, studiare i fenomeni e dare così la possibilità agli studiosi del comportamento di progettare interventi mirati volti a favorire il benessere collettivo e a ridurre i comportamenti dannosi.

In che modo? Alcuni suggerimenti utili che ci vengono forniti dalle stesse scienze comportamentali per contrastare i bias elencati sopra, sono:

  • quando ci si imbatte in una nuova notizia non fermarsi al primo sito/canale. Approfondire la questione e documentarsi usando soprattutto canali e siti ufficiali;
  • analizzare la questione con una lente il più possibile oggettiva prendendo consapevolezza delle emozioni che si stanno provando ma distinguendole dai fatti reali vissuti. Reagire dopo aver lasciato defluire il carico emotivo. Ad esempio, può esserti utile chiederti e scrivere su un foglio come ti senti in quel momento;
  • chiedersi il perché si sta facendo quell’azione o si sta dando quella risposta, non lasciarsi trascinare dall’abitudine, dalla routine, o dal perché “lo fanno gli altri”;
  • chiedersi il perché riceviamo un certo tipo di notizia o informazione, qual è la funzione che quella notizia ha nella società, qual è la motivazione di chi la sta diffondendo.

Non dimentichiamoci, infatti, come ci spiegano Hayes, Barnes-Holmes, & Roche (2001) con la Relational Frame Theory (RFT), che l’accostamento mentale tra vari elementi e costrutti genera dei significati in grado di avere, a loro volta, un impatto sull’azione e sul mondo emotivo della singola persona e di riflesso sulla società.

Già il fatto di essere arrivati alla fine di questo articolo vi ha dato la possibilità di fermarvi a riflettere alcuni minuti su come ci comportiamo, il che è un ottimo punto di partenza. Avere consapevolezza di come funzioniamo, di come reagiamo alle informazioni che ci vengono date, è il primo passo decisivo per prendere decisioni più consapevolmente, e generare così conseguenze positive per sé e per gli altri.

BIBLIOGRAFIA&SITOGRAFIA

Hayes, S. C., Barnes-Holmes, D., & Roche, B. (Eds.). (2001). Relational Frame Theory: A Post-Skinnerian account of human language and cognition. New York: Plenum Press.

Kahneman, D. (2012). Pensieri lenti e veloci. Milano: Mondadori.

Kahneman, D., & Tversky, A. (1979). Prospect theory: an analyis of decision under risk. Econometrica, 47(2), 263.

Lichtenstein, S., Slovic, P., Fischhoff, B., Layman, M., & Combs, B. (1978). Judged frequency of lethal events. Journal of Experimental Psychology: Human Learning and Memory, 4(6), 551–578.

Rumiati, R., Rubaltelli, E., & Mistri, M. (cur.) (2008). Psicologia economica. Carocci: Roma.

Slovic, P. (1987). Perception of risk. Science236(4799), 280-285.

Slovic, P., Fischhoff, B., & Lichtenstein, S. (1980). Facts and fears: Understanding perceived risk. Decision research, a branch of perceptronics. In R. C. Schwing & W. A. Albers, Societal Risk Assessment: How safe is safe enough? (pp. 181-214). New York: Plenum Press.

https://www.bloomberg.com/quote/STZ:US